Emergenze del bilanciamento tonico

Il corso sul Risveglio terapeutico dell’arto inferiore è appena terminato. Due giornate di laboratori esperienziali in cui ho proposto pratiche terapeutiche già ideate da molti anni (come le dinamiche di terapia manuale) insieme a pratiche venute alla luce in tempi recenti, come quelle riguardanti la tonalità del corpo vivente. A queste ultime appartengono i laboratori “Esplorare la tonalità dell’arto inferiore” e il “Bilanciamento tonico”, che si sono rivelati momenti particolarmente fecondi, meritevoli di essere richiamati alla memoria per evidenziarne il guadagno di consapevolezza.

Il laboratorio di esplorazione della tonalità si è ampliato temporalmente a dismisura, e l’ho permesso perché sentivo che stava maturando un nuovo modello d’indagine, fondato sul sentire di un nuovo sguardo e sulla messa in opera di una molteplicità sistematica di relazioni tattili.

Il laboratorio del bilanciamento tonico temporalmente è stato molto più contenuto, a motivo del suo essere posto nella fase conclusiva del corso. Ma ciò non ha impedito di viverlo come un’esperienza densamente fertile: attorno a un’unica proposta di bilanciamento tonico fra i versanti posteriore e anteriore dell’anca sono germinate molteplici situazioni rivelative. La proposta consisteva nell’appoggio longitudinale del ginocchio sulla mano del terapista, con l’anca in posizione di relativa apertura. Ma girando fra le coppie che provavano, ho potuto rilevare diversi fenomeni somestesici rivelanti particolari difficoltà espressive, ciascuna richiedente una specifica variazione della proposta originaria.

Il versante posteriore non riesce ad attivarsi: chiedo allora di esercitare la spinta mantenendo un appoggio sfiorante del ginocchio sul lettino.

Il versante anteriore non viene percepito nella sua partecipazione al bilanciamento tonico: oltre alla mano davanti al ginocchio, faccio applicare ampiamente l’altra mano lungo la radice anteriore della coscia vicina all’inguine, e allora si può sentire quest’area che cerca attivamente la mano.

Il tentativo di appoggio del ginocchio si associa a una tendenza all’elevazione del piede, che segnala un innesco della chiusura d’anca. Allora all’appoggio davanti al ginocchio associo un appoggio sul versante mediale del piede, generando così un nuovo schema di appoggio tonico.

Durante la spinta del ginocchio si produce un’elevazione del bacino dello stesso lato. Ciò mi richiama per analogia il problema dell’elevazione del moncone della spalla. Pongo allora una mano sotto la spina iliaca anteriore, che si associa all’appoggio del ginocchio.

Durante la spinta del ginocchio si avverte una tensione sulla faccia posteriore della coscia che sembra trattenere il ginocchio in un accenno di flessione (ischiocrurali). Allora associo al contatto sul ginocchio un altro contatto sul collo del piede per favorire una più piena espressione estensoria della spinta.

Nell’esporre il problema dello squilibrio tonale fra i due versanti dell’anca, ho utilizzato frequentemente il paragone di una coppia incapace di abitare insieme la stessa casa.

Inoltre sottolineo la posizione di ponte che questa esperienza di bilanciamento tonico assume come transizione fra la terapia manuale e l’esercizio terapeutico.

Ecco, questa ricchezza di difficoltà che stimola l’invenzione di nuovi adattamenti, e questo gettare ponti fra una dimensione e l’altra dell’esistenza, fra un passaggio e l’altro dell’esperienza terapeutica, mi colpiscono intimamente. Sono epifanie impreviste di una situazione in cui mi sono coinvolto. Manifestazioni di una formazione generativa e trasformativa.