Integrazioni ed espansioni

È appena finito il corso “La coordinazione integrale dell’arto inferiore”, svoltosi il 5 e 6 marzo 2016, secondo corso dedicato all’arto inferiore dopo “Il risveglio terapeutico dell’arto inferiore” dell’autunno scorso. Il nucleo centrale del corso sta nell’idea dell’integrazione come funzione di sintesi fra i diversi piani che offrono un senso disponibile per l’esperienza dei problemi degli arti inferiori.

Sono consapevole del fatto che la parola “integrazione” usata con troppa facilità rischia di risultare abusata e retorica, e in fin dei conti vuota di reali contenuti al di là di facili commistioni. Per cui c’è da interrogarsi seriamente su che cosa e come integrare. La domanda su “che cosa integrare” chiama in causa i diversi piani costitutivi dell’esperienza dell’arto inferiore. In particolare i piani considerati nella mia prospettiva sono la chinesiologia, l’estetica e la simbologia. A molti terapisti i due ultimi piani risulteranno indubbiamente estranei, non riuscendo a comprendere quale attinenza essi abbiano per la riabilitazione.

Ma per un terapista che abbia cominciato a sensibilizzarsi verso un’esperienza terapeutica centrata sul sentire somatico, l’estetica risulta già una dimensione di senso più che pertinente, necessaria per poter parlare a tutti gli effetti di esperienza terapeutica. L’estetica dell’esperienza terapeutica consiste nel vivere consapevolmente il corpo come fenomeno somestesico, dinamico e affettivo, nella sua relazione situata con le presenze dell’ambiente in cui vive. Quindi è l’estetica del corpo vivente nel mondo della vita, con le sue possibilità e le sue sofferenze, a costituire l’avvio e il centro esperienziale della terapia.

L’estetica terapeutica instaura allora una prima forma di integrazione con le scienze di base, in particolare con la chinesiologia considerata come il fulcro per una considerazione razionale dei problemi del corpo e del movimento. Durante il corso la chinesiologia, con le sue rappresentazioni di omini stilizzati attraversati da linee vettoriali, ha rappresentato un passaggio significativo per presentare i dinamismi nelle fasi del cammino, e in particolare gli schemi di adattamento nelle fasi del passo anteriore e del passo posteriore. Ma questi schemi sarebbero destinati a rimanere regole astratte se non facessero i conti con l’esperienza somestesica del corpo che si dispone nel contatto vivo con il terreno e con lo spazio circostante. Qui il sentire somestesico si pone in dialogo costante con le leggi della chinesiologia, da un lato per verificarle, dall’altro anche per sperimentare qualità percettive che esorbitano dalle attese teoriche, dando luogo a esperienze originali e finemente variabili. In ogni caso comunque la razionalità chinesiologica e la sensibilità estetica possono sposarsi, per cui nella riflessione chinesiologia prendono corpo le tensioni del sentire, e a sua volta nel dinamismo espressivo dell’esperienza estetica prendono forma campi di forze dotate di intensità e direzionalità.

L’altra integrazione è fra l’estetica e la simbolica. Qui l’estetica del sentire corporeo tende a trascendersi in temi e motivi simbolici che prendono spunto dalle più svariate fonti: il linguaggio metaforico, il pensiero mitologico, le opere d’arte, il percorso esistenziale personale. Il simbolismo si rivela già nelle metafore sottese alle parole che esprimono i Gesti. Ad esempio Radicarsi e Crescere nel loro insieme esprimono il senso di appartenenza e di libertà, come direzioni opposte e complementari che caratterizzano la condizione umana come “essere fra la terra e il cielo”. Ricco di spunti in questo senso è stato il gesto del Rivolgersi, accostato ai dipinti “La Fortuna” di Rubens (la spirale del rivolgersi ascendente), “L’annunciazione” di Botticelli (la svolta e le tendenze contrastanti interne), “Venere e Adone” di Tiziano (rivolgersi come torsione desiderante dell’incontro nel tempo che unisce e separa), “Atalanta e Ippomene di Guido Reni (rivolgersi come convogliarsi su un punto che fissa o come espandersi verso un traguardo aperto). In tal modo il sentire smette di autocompiacersi, e si trascende per diventare forma simbolica, per farsi tema dell’esistenza umana personale, con le sue memorie, i suoi progetti, e le forme di trascendenza che l’attraversano da un capo all’altro dell’avventura vitale.

Anche il cammino, una volta liberato dall’idea fissa della normalizzazione, si riscopre al proprio interno come un susseguirsi di gesti che chiedono solo di essere esplorati e rielaborati liberamente, espandendo le proprie possibilità espressive, come abbiamo avuto modo di sperimentare nelle ultime ore del corso. In tal modo il cammino si fa simbolo pregnante della condizione umana e dell’indagine esplorativa, e in quanto tale può essere assunto esplicitamente dall’esperienza terapeutica, e non solo. Come quando, nella sera fra le due giornate del corso, ho sperimentato con due amici una speciale forma di cammino espansivo a braccia aperte come ali.