Quattro luoghi da abitare. Sopravvivere e muoversi in un concerto semi-strutturato
Federico Valandro, Padova
Questi appunti nascono dalla mia esperienza nel collettivo musicale Porte ‘perte e dall’esigenza di mettere in luce possibilità di presenza e comunicazione che nel farsi del concerto non sempre vengono vissute. Il collettivo è un gruppo di musicisti balfolk di diverso grado di esperienza e provenienza, e dalla composizione variabile al momento del concerto. In questo contesto la buona riuscita di ogni esecuzione dipende da processi di autoregolazione interni al gruppo in maggior misura rispetto alla classica situazione di banda o orchestra dirette dal direttore che ha preparato l’evento. La disposizione in cerchio al centro della sala da ballo che spesso adottiamo vuole proprio favorire queste dinamiche. Ovviamente quanto scrivo può essere da spunto anche per altre disposizioni o situazioni.
Elenco quelli che mi sembrano quattro spazi esperienziali di base in cui posso trovarmi e muovermi nel vivo del concerto, senza pretesa di esaustività: lo spazio intimo personale, lo spazio di coordinazione con il direttore e musicisti di riferimento, il cerchio di musici e la sala da ballo. Per ogni spazio indico il valore o l’esigenza preponderante e ne abbozzo struttura, possibilità d’azione e possibili criticità.
1. Lo spazio intimo
(o Sul comfort personale)
Il mio spazio, la mia bolla, il mio mondo che esiste e persiste al di là della presenza degli altri, il “come mi porto qui”. In questo spazio ci sono io con le mie sensazioni fisiche di comodità e scomodità, c’è il mio strumento e le mie abilità e i miei limiti nel suonarlo, c’è il brano per come lo conosco e l’ho sempre interpretato e per come lo affronto ora…
Durante il concerto posso sostare in questo spazio per prepararmi ed affrontare un passaggio tecnicamente difficile o per ricercare una postura somatica ed affettiva più comoda, qui posso trovare ispirazione in ricordi, immagini, desideri del momento.
Quando non sto in questo spazio posso procurarmi qualche fastidio fisico, fare qualche errore tecnico di esecuzione, essere poco ispirato o non in contatto con le mie motivazioni personali.
Pregiudizi negativi su di me e ansia di prestazione sono modi comuni con cui qui mi posso togliere vitalità.
2. Lo spazio con il direttore e musicisti di riferimento
(o Sul coordinarsi)
Alzo lo sguardo da me, sto suonando, e nell’urgenza di accordarmi con gli altri nel concerto trovo dei primi punti di riferimento. Il primo è sicuramente il direttore. In questo contesto, in cui la preparazione dei brani e del concerto non è condotta da un singolo individuo, il direttore è da intendere più come un ruolo che come una persona fissa: può esserci una persona che per consuetudine prende questo ruolo per tutto il concerto, ma può anche cambiare da un brano all’altro, o può esserci un momento in cui un musicista se ne prende carico solo per un passaggio. Quello che è fondamentale e imprescindibile è che sia chiaro a tutti chi fa il direttore in un dato momento, senza possibilità di fraintendimento. Dal direttore posso ricevere indicazioni su quando finire il brano, su dinamiche energetiche, di volume o di velocità da compiere tutti insieme, o su qualcosa che devo fare proprio io a differenza degli altri (smettere di suonare, ad esempio, o al contrario fare un assolo).
Oltre al direttore, può esserci qualche altro musicista con cui tengo un contatto stretto e con cui è importante che mi coordini: in genere sono i musicisti con un ruolo simile al mio (melodia o armonia o ritmica ad esempio), ma anche una persona che conosce il brano meglio di me, o che al contrario ha bisogno di supporto.
In questo spazio c’è l’esigenza pratica e contingente di coordinarsi. Qui posso trovare punti di riferimento esterni a me a cui appoggiarmi, che mi garantiscono di ben contribuire alla riuscita del brano senza richiedermi una grande iniziativa o una grande sensibilità negli altri tre spazi. Oppure posso dare messaggi chiari e precisi a chi sta facendo riferimento a me.
Quando non sto in questo spazio rischio di non partecipare alle dinamiche concordate dal resto del gruppo, di non togliermi quando necessario, di andare fuori tempo.
Posso togliere fluidità a questo spazio contraddicendo chi mi dà un’indicazione o al contrario insistendo a comunicare un messaggio che non viene colto.
3. Lo spazio del cerchio
(o Sulla sintonia con la musica e col gruppo)
Allargo lo sguardo e ascolto: c’è questo cerchio di musici di cui sono parte e questo brano che si sta facendo tutti insieme. Questo è lo spazio dell’uno che siamo. C’è un certo clima tra di noi (più o meno energia, intimità, vitalità) che è in relazione con le qualità dinamiche e affettive del brano.
Qui posso gustare appieno il brano che si sta formando di momento in momento, sentire le sue qualità nel presente avendo una consapevolezza del suo svolgimento nel tempo. Sento se ne faccio più o meno parte con quel che suono e posso provare ad accordarmici come ritmica, armonia e dinamica. Qualcosa mi piace di più oppure meno, posso sentire una mancanza che vorrei colmare o invece un accenno che potrebbe prendere una forma più decisa e che vorrei rinforzare. Mi muovo di conseguenza cambiando modo di suonare o azzittendomi e ne apprezzo l’effetto. Da questo spazio posso prendere ispirazione per interventi che richiedono una coordinazione precisa di più musicisti ponendomi come direttore (vedi spazio precedente).
Quando non sto in questo spazio rischio di richiedere un lavoro eccessivo al direttore appiattendomi a mero esecutore passivo, senza affinare il mio gusto estetico musicale.
Idee troppo rigide su come dev’essere il brano possono impedirmi di muovermi agevolmente in questo spazio.
4. Lo spazio della sala
(o Sulla sintonia con i ballerini)
Oltre il cerchio, i ballerini fanno la loro danza sulla nostra musica. Durante l’esecuzione di un brano, i ballerini nel loro insieme si presentano con un loro dinamismo, con delle qualità e con una specifica energia, che si articola e si differenzia nelle singole coppie e singoli ballerini, e che comunque mantiene un suo apprezzabile apparire unitario, d’insieme. Posso accorgermi di più o meno sintonia tra i ballerini e la musica che stiamo suonando. Oppure, pur nella sintonia, posso avvertire l’esigenza di cambiare qualcosa (ad esempio in un periodo di bassa energia prolungato, o al contrario di euforia senza intimità). In entrambi i casi, le mie azioni possono rivolgersi di volta in volta o al gruppo (vedi i due spazi precedenti) o invece essere dirette proprio ai ballerini: incitamenti, spiegazioni, momenti di silenzio ne sono solo alcuni esempi.
Quando non sto in questo spazio rischio che un concerto, per quanto appagante e coinvolgente per i musici, non lo sia altrettanto per i ballerini.
Per concludere…
Tutti e quattro questi spazi sono pregni di possibilità vitali e ciascuna delle esigenze che portano è necessaria alla buona riuscita della situazione di musica e ballo. Problemi possono sorgere se ci si fissa solo su uno senza muoversi da uno all’altro, se uno lo si esclude sistematicamente o se lo si abita parzialmente senza sfruttarne le possibilità.
Ogni musicista può riconoscere un proprio stile, un proprio schema preferenziale nell’abitare questi spazi. Ci si può chiedere: dove sto più spesso e come ci sto di solito? Quale tra questi spazi è per me più comodo? E il più scomodo? E utilizzare quindi questa mappa come spunto e appoggio per conoscersi e esplorare nuove possibilità.